Settimana Santa – Mercoledì

Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono. (Eb 5, 7-9)

La confessio, di cui parla Agostino, va intesa in primo luogo come confessio laudis, che si combina strettamente alla confessio peccati. Ad integrare i due aspetti vi è un terzo elemento: la confessio amoris: la confessione deve essere un atto di amore. Agostino raccomanda di confessare a Dio i doni ricevuti e di rendere lode a Dio nelle e per le sue opere, perché si riconosca, grazie alla fede che professiamo (confessio fidei), la sua opera di redenzione. Inseparabilmente legata alla lode è la confessio peccati: confessando i suoi peccati, Agostino vuole cantare la lode di Dio misericordioso e giusto, mettendo l’accento sull’azione santificante della grazia, che salva e libera dai peccati: «I tredici libri delle mie Confessioni lodano Dio giusto e buono per le azioni buone e cattive che ho compiuto, e volgono a Dio la mente e il cuore dell’uomo» (Ritrattazioni II, 6.1). La condanna del proprio peccato è già essa stessa una lode a Dio (cf. Discorso 67, 2). Le Confessioni diventano un inno alla misericordia di Dio, che ha liberato l’uomo che sa di essere peccatore, che sperimenta tuttora la propria fragilità e che innalza il suo grido, perché 1’opera avviata da Dio possa giungere al completamento.

Partendo da quest’ottica le Confessioni alimentano la virtù teologale della speranza; da questo libro i fratelli nella fede imparano, sull’esempio di Agostino, ad invocare il Signore, a non disperare della misericordia divina, ad attendere fiduciosi il compimento delle promesse di Dio.

 

La confessione della lode

Confessare a Dio che cosa significa se non umiliarsi davanti a Dio e non attribuirsi alcun merito? Poiché per grazia sua siamo stati salvati, come dice 1’Apostolo, non per merito delle opere, perché nessuno s’insuperbisca; infatti per sua grazia siamo stati salvati. Non è preceduta infatti una qualche vita meritoria, che Dio dall’ alto possa aver gradito e amato e così possa aver detto: “Veniamo in aiuto, soccorriamo questi uomini, perché vivono bene”. Non fu contento della nostra vita, gli dispiacque in noi tutto quanto facevamo, mentre non gli dispiacque quanto lui aveva fatto in noi. Perciò condannerà quanto abbiamo fatto noi, salverà quanto ha fatto lui. Condannerà le cattive azioni degli uomini, ma salverà gli uomini.

Gli uomini non hanno fatto se stessi, ma hanno prodotto cattive azioni. Quanto Dio ha fatto in essi – Dio infatti ha creato l’uomo ad immagine e somiglianza sua – è buono. Quanto invece l’uomo, respingendo il suo Autore e creatore e volgendosi alla perversità, tramite il libero arbitrio, ha fatto di male, questo condanna Dio per liberare l’uomo; cioè Dio condanna’ quanto ha fatto l’uomo e libera quanto ha fatto lo stesso Dio.

Noi non eravamo buoni. Ma ha avuto pietà di noi e ha mandato il suo Figlio a morire, non per i buoni ma per i cattivi, non per i giusti ma per gli ingiusti. Infatti Cristo è morto per gli empi. E che cosa segue? È raro il caso che uno voglia morire per un giusto; tuttavia qualcuno forse accetterebbe di morire per un uomo dabbene. Si potrebbe trovare qualcuno che abbia il coraggio di morire per un uomo dabbene. Invece per un ingiusto, per un empio, per un iniquo chi vorrebbe morire, se non Cristo solo, così innocente da poter giustificare anche gli ingiusti? Perciò, fratelli miei, non avevamo nessun’opera meritoria, ma soltanto demeriti. Ma pur essendo tali le opere degli uomini, la sua misericordia non abbandonò gli uomini. E mentre erano meritevoli di pena, egli invece della pena dovuta donò la grazia non dovuta. E mandò il Figlio suo per redimerci, non a prezzo d’oro o d’argento, ma a prezzo del suo sangue, che egli sparse, agnello immacolato condotto al macello per le pecore contaminate, se pur soltanto contaminate o non anche completamente infette.

Ecco la grazia che abbiamo ricevuta. Viviamo in maniera degna di questa grazia che abbiamo accolta, per non fare torto a tanto dono. Un così grande medico è venuto a noi, ha rimesso tutti i nostri peccati. Se vogliamo di nuovo ammalarci, non soltanto danneggeremo noi stessi, ma ci mostreremo anche ingrati verso il medico.

Seguiamo perciò le sue vie che egli ci ha mostrato, in modo particolare la via dell’umiltà, perché egli stesso è divenuto umile per noi. Ci ha mostrato con l’insegnamento la via dell’umiltà e l’ha percorsa soffrendo per noi. Non avrebbe sofferto se non si fosse umiliato; chi avrebbe potuto uccidere Dio, se Dio non si fosse umiliato? Il Cristo infatti è Figlio di Dio, e il Figlio di Dio è anch’ egli Dio. È lui il Figlio di Dio, il Verbo di Dio, del quale parla Giovanni: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e’ il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lui e niente è stato fatto senza di lui. Chi avrebbe potuto uccidere colui per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose e senza il quale niente è stato fatto? Chi avrebbe potuto ucciderlo, se egli non si fosse umiliato? Ma in che modo si è umiliato? Dice ancora Giovanni: Il Verbo si è fatto carne ed ha abitato in mezzo a noi. Il Verbo di Dio infatti non avrebbe potuto essere ucciso. Perché potesse morire per noi, poiché per sua natura non poteva morire, il Verbo si è fatto carne ed ha abitato in mezzo a noi. Immortale, assunse la mortalità, perché potesse morire per noi, e con la sua morte uccidere la nostra morte. Questo ha fatto il Signore, questo ha compiuto per noi, Onnipotente, si è umiliato; umiliato, è stato ucciso; è stato ucciso, è risorto, è stato esaltato per non abbandonarci, morti, nell’inferno, ma per glorificarci in lui nella risurrezione dei morti, mentre ora ci ha innalzati nella fede e nella confessione dei giusti.

(dal Discorso 23/ A, 1-4)

 

Per una breve meditazione…

 

Dio ci ha dato come via l’umiltà. Se la percorreremo, confesse. remo al Signore e allora con verità possiamo cantare: Confesseremo a te, Dio, confesseremo a te e invocheremo il tuo nome.

 

(dal Discorso 23/ A, 4)

Settimana Santa – Martedì

Cadde in ginocchio e pregava dicendo: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc 22, 41-42)

Agostino espone uno dei temi costitutivi del suo pensiero teologico e spirituale: l’umiltà di Cristo, fondamento a sua volta dell’umiltà dei cristiani. Ancor prima di considerarla una virtù morale che indica semplicità, modestia e consapevolezza dei propri limiti, l’umiltà è una categoria teologica relativa al progetto di salvezza di Dio. Il Figlio di Dio è umile in quanto diviene uomo: «Tutta la vita di Cristo, Dio e Creatore, è intessuta di umiltà, è basata sull’umiltà, al punto che Paolo riassume tutta l’Incarnazione redentrice nell’annientamento e nell’ubbidienza. L’umiltà di Gesù è certamente assoluta, ma in un altro senso: si fonda sulla convinzione di aver ricevuto tutto dal Padre» (J. Galot). «Non fu certamente il peccato a rendere Cristo umile, ma la carità» (La verginità consacrata 37.3 8). Per il cristiano, pertanto, l’umiltà si presenta come la condizione indispensabile per seguire Cristo e per divenire una degna dimora di Dio. Solo l’umiltà conferisce forza al cristiano, come già ha saputo dimostrare Cristo: ecco il cuore dell’esposizione esegetica di Agostino.

 

Aspira a cose sublimi

 

Nessuna cosa è più cara a Dio di colui che è l’immagine di Dio. Iddio ha posto tutto al di sotto dell’uomo, e l’uomo al di sotto di sé. Vuoi che sia sotto di te tutto ciò che Dio ha fatto? Sii tu sotto di Dio. Sarebbe grande impudenza che tu pretenda che le creature inferiori stiano sotto di te e intanto tu non riconosci sopra di te colui che le ha create. Dio dunque ha disposto quel che ha creato ponendo sotto di sé colui che è sua immagine e tutto il resto sotto di questa. Accogli lui e ti innalzerai sull’umano. Anche Cristo fu disprezzato.

Lui al quale vien detto: In te mi rifugio, è venuto ad esser disprezzato per te, e ti ha redento proprio perché disprezzato.

Tu non saresti salvato, se egli non fosse stato disprezzato. Disprezzato in che senso? Perché ha preso la veste di servo, la tua stessa forma. Altro era infatti quel che si nascondeva, altro quel che si vedeva. Si nascondeva Dio, si vedeva l’uomo.

Così l’uomo fu disprezzato, ma da Dio fu glorificato.

Tutto dunque, egli che per noi si fece via, tutto ciò che gli uomini quaggiù ambiscono come qualcosa di grande, egli lo rifiutò; egli che tutto aveva, a cui apparteneva il cielo e la terra, per mezzo del quale erano stati fatti il cielo e la terra, al quale nei cieli e nel più alto dei cieli servivano gli angeli, egli che fugava i demoni, che scacciava le febbri, che apriva gli orecchi ai sordi e gli occhi ai ciechi, che comandava al mare, ai venti e alle tempeste, che risuscitava i morti. Egli tanto poteva, eppure contro di lui tanto poté colui che egli aveva creato. Benché creatore dell’uomo, si sottomise all’uomo, quando apparve come uomo per liberare l’uomo. Si sottomise all’uomo, ma nelle vesti di uomo, nascondendo la divinità; manifestatosi come uomo, come uomo fu disprezzato, riconosciuto più tardi come Dio; ma riconosciuto proprio perché prima era stato disprezzato. E anche a te non volle dare la gloria, se non dopo averti insegnato l’umiltà.

Ogni uomo desidera cose sublimi. Ma sulla terra che c’è di sublime? Se dunque desideri cose sublimi, il cielo desidera, le cose celesti desidera, desidera le cose sopracelesti. Brama di essere concittadino degli angeli, anela verso quella città, verso di essa sospira, là dove non perderai l’amico e non dovrai soffrire il nemico, dove non troverai nessuno liberato, perché da quaggiù nessuno vi può portare il suo schiavo.

Quella infatti è città eterna, dove nessuno nasce, nessuno muore, dove è perpetua e perfetta sanità, perché la sanità si chiama immortalità. Se tu brami di essere lassù, veramente aspiri a cose sublimi. Questo è il dove; ma considera anche il come. Perché non c’è nessuno che non brami di essere concittadino degli angeli, di godere in Dio, di Dio, sotto Dio, di restare per sempre, di non essere afflitto da nessuna piaga, raggiunto da nessuna vecchiezza, debilitato da nessuna stanchezza, consumato da nessuna malattia e da nessuna morte. Grande cosa, sublime cosa, desiderabile cosa. Tu desideri arrivarci; ma guarda per dove ci si arriva.

(dal Discorso 20/A, 2-7.8)

 

Per una breve meditazione:

 

Dio china a noi il suo orecchio. Egli è in alto, noi in basso. Egli è sulla vetta, noi nella miseria; ma non siamo abbandonati.

(dal Commento al Salmo 85, 2)

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