Il primo documento a nostra conoscenza che parla della presenza dei Frati Romitani di S.Agostino in Amandola è una pergaÂmena dell’archivio comunale di detta città e porta la data del 25 settembre 1301. Eccone il contenuto.
Un certo Pauluzio, oblato del convento dei frati Romitani dell’Ordine di S. Agostino di Amandola è fuggito di nascosto dal Convento ed i frati lo hanno ripreso. Il Potestà di Amandola, che era Gentile da Fermo, “in plano Metime” presso la porta della città lo strappa con violenza dalle mani dei frati e questi lo denunciano per aver fatto loro violenza;ma il giudice della Marca assolve il Potestà .{ cfr. P.Ferranti, Memorie storiche della città di Amandola, Parte II, IV°, pag.582).
Chi erano i Frati Romitani di S. Agostino dei quali parla la pergamena? Da quanto tempo erano in Amandola?
Sappiamo bene che il secolo XIII ha fatto registrare fatti nuovi e clamorosi nella vita della Chiesa.
Agli Ordini Monastici, di indirizzo prevalentemente benedettino, che erano entrati in modo determinante nella formazione dell’Europa cristiana e agli Ordini Canonicali con la Regola di S.Agostino che tanto avevano fatto parlare di sè nei due secoli dopo il mille – con gli inizi del secolo XIII – si aggiungoÂno – ed in un modo davvero imponente -gli Ordini Mendicanti e soprattutto i Francescani con S. Francesco e i Domenicani con S. Domenico. Ed ancora: l’Italia pullulava di movimenti di vita eremitica aperti all’impeÂgno apostolico ed orientati, in molti casi, alla vita comune secondo la Regola di S. Agostino che anche S. Domenico aveva scelto per i suoi Frati Predicatori. I Domenicani e i FrancescaÂni si affermano, ed in un modo clamoroso, in ogni parte d’Europa e nel vicino Oriente. Ma fa Sede Apostolica segue con attenzione anche i vari movimenti eremitici ed in particolare gli Eremiti di Tuscia che professano la regola di S. Agostino.
I rappresentanti di tali eremiti vanno dal Papa e per loro InnoÂcenzo IV indice un Capitolo Generale da tenersi a Roma presso la Sede Apostolica sotto la direzione del Card. Riccardo degli Annibaldi per il marzo del 1244. Devono essere presenti uno o due membri per ogni casa per trattare della riforma dell’Ordine e per accogliere le disposizioni della S. Sede. Il Capitolo si tenne regolarmente ed elesse come Superiore Generale un certo Fr. Matteo che governò l’Ordine fino al 1250.
Fu questa la ”Piccola Unione” con la quale ebbe inizio ufficialmente l’Ordine degli Eremitani di S. Agostino. Le attenzioni della S. Sede verso questo nuovo Ordine continuano e si intensificano finchè, per volere del Papa AlesÂsandro IV e l’opera veramente preziosa del Card. Riccardo degli Annibaldi, si arriva alla “Grande Unione”. Siamo nel luglio del 1255. Oltre agli Eremiti dell’Ordine di S. Agostino di Tuscia, sono convocati in Capitolo Generale gli eremiti di S.Guglielmo di Malavalle, gli Eremiti di Fr. Giovanni Bono, gli Eremiti di Brettino e gli Eremiti di Montefavale. Detto capitolo si tiene a Roma nel marzo del 1256 nel convento di S. Miria del Popolo che era passato da pochi anni (1250) agli Eremiti di S. Agostino di Tuscia. Fu chiamato il Capitolo della “Grande Unione” e venne nominato Priore Generale Fr.Lanfranco Settala da Milano già superiore generale dei Giamboniti. La nota bolla pontificia “Licet Ecclesiae Catholicae” sancì quanto avevano operato i padri capitolari. In seguito i Capitoli Generali si tengono ogni tre anni ed in essi si danno norme quanto mai sagge per l’incremento dell’Ordine. Nel Capitolo Generale celebrato a Ratisbona nel 1290 viene approvato il testo definitivo delle Costituzioni le quali, insieme alla Regola di S. Agostino con il commento di Ugo da S. Vittore, costituiranno la vera, solida base della vita dell’ Ordine e ne qualificheranno la presenza nella Chiesa.
L’osservanza regolare, lo studio e l’apostolato nelle sue varie forme caratteÂrizzano la vita di questo nuovo Ordine Mendicante. Un po’ dovunque,in Italia e all’ estero, sorgono conventi e chiese spesso dedicate a S. Agostino. RilevanÂtissima è la loro presenza nelle università italiane e straniere, soprattutto alla Sorbona di Parigi, dove tengono cattedra dottori agostiniani di primissimo piano quali Egidio Romano, Agostino Trionfo, Giacomo da Viterbo e tanti altri. Se si afferma nel campo della cultura non meno sorprendente è il suo affermarsi nel campo della santità . S. Nicola a Tolentino, S. Chiara a Montefalco nonchè i beati Simone da Cascia, Clemente da Osimo, Agostino da Tarano, Cristiana da S. Croce, Giovanni da Rieti, Angelo da Furci, Federico da Ratisbona, Guglielmo da Tolosa e tanti altri fanno parte del primo secolo di storia del nuovo Ordine e stanno a dimostrare che,nelle comunità degli Eremitani di S. Agostino,l’osservanza regolare e la santità erano di casa.
Nelle Marche la diffusione della vita agostiniana dopo la Grande Unione fu particolarmente intensa e rapida per opera dei religiosi eremiti agostiniani di Brettino dei quali faceva parte anche S. Nicola da Tolentino. Formavano due province religiose: l’Anconitana e la Fermana (cfr. Definizioni del Capitolo Generale di Siena del1295 in”Bollettino Storico Agostiniano 4 (13-11Â-1927) p. 23). Molto verosimilmente il convento di S. Agostino di Amandola faceva parte della Provincia Fermana e la sua fondazione si può far risalire alla seconda metà del secolo XIII°.
Al convento era annessa la chiesa dedicata anch’essa a S. Agostino. Come fanno intendere vari documenti, sorgeva alle falde del monte Marabbione(appena fuori le mura cittadine e rassomigliava ad un romitorio piuttosto che ad un convento vero e proprio. Ciò nonostante vi dovevano dimorare diversi religiosi come
si può desumere da un altro documento e precisamente lo Statuto riformato del comune di Amandola pubblicato il 2 giugno 1336.
Negli articoli 1,3 e 7 di detto Statuto si ordina che: “anche a questa chiesa dei frati romitani ogni anno si deve regalare un pallio†… “che la festa di S. Agostino deve essere considerata di precettoâ€â€¦ e che “ogni anno si devono regalare 8 tonache per i fratiâ€. Ora se si danno 8 tonache ogni anno, verosimilmente in quel periodo erano 8 i frati che componevano la comunità .
Ed ancora: il primo volume che si possegga dei Consigli del Comune di Amandola riferisce che nella seduta del 25 ottobre 1352 fu letta in Consiglio una lettera del P. Provinciale dei Frati Romitani di S. Agostino ed in seguito a questa lettera fu deciso che frati di S. Agostino dimorano nella località di S. Agostino in Amandola e devono essere reintegrati nelle elemosine nel modo consueto cioè secondo la forma dello Statuto.
A conferma di quanto sopra nell’esito del 1361 e nel Consiglio del 10 aprile 1373 risultano pagate le tonache per i frati.
Il Beato Antonio Migliorati
È passato oltre un secolo dalla fondazione dell’Ordine degli Eremitani di S.Agostino. Dando un sia pur rapido sguardo alle vicende di questi anni non possiamo non prendere atto della eccezionale vitalità di quest’Ordine nel campo della scienza e della pietà . Crescono in Italia e all’estero le fondazioni e si consolidano quelle già esistenti. Gli studi sono promossi con meticolosa attenzione e singolare capacità . Dovunque sono presenti religiosi altamente qualificati che fanno davvero onore all’Ordine e alla Chiesa. La santità vissuta diventa un fatto spesso anche clamoroso come avviene a Montefalco per S.Chiara, a Lecceto e altrove per altri servi di Dio e soprattutto a Tolentino per S.Nicola. La tomba è meta di continui pellegrinaggi e prima della metà del secolo XIV le glorie di questo santo confratello vengono immortalate nel meraviglioso Cappellone che ancor oggi ammiriamo. Ogni convento, ogni chiesa dell’Ordine Agostiniano diventa un centro di devozione verso questo santo confratello. Anche in Amandola e nei dintorni la devozione a S. Nicola è particolarmente sentita e diffusa.
Ma per la città di Amandola ed in particolare per la locale comunità degli Eremitani di S.Agostino la Provvidenza sta preparando un dono veramente singolare.
Siamo al 17 gennaio 1355. Alle pendici del monte di Amandola, fra le borgate contigue di Francalancia e Casaricchia ed a poca distanza dall’Abbazia benedettina dei Santi Vincenzo e nastasio nasce il Beato Antonio Migliorati, figlio e gloria di questa terra e di questo convento di S.Agostino.
Fin da fanciullo frequenta la vicina abbadia benedettina e da quei bravi monaci apprende i primi elementi del sapere. Passano pochi anni ed attratto dalla singolare fama di santità che ovunque riscuote S.Nicola da Tolentino, veste l’abito agostiniano nel convento di S.Agostino della sua città natale. Ed è in questa comunità che si svolge tutta la sua formazione fino al sacerdozio. Poco dopo l’ordinazione sacerdotale viene trasferito “di famiglia†nel convento di S. Nicola a Tolentino e vi resta per 12 anni esercitando l’ufficio di “sacrista”. Passa poi con gli agostiniani delle Puglie e vi resta due anni.
Ha 45 anni quando torna in Amandola e vi rimane fino alla morte avvenuta il 25 gennaio 1450.
Mezzo secolo di attività apostolica in mezzo ai suoi concittadini caratterizzata da una vita santa e da un dinamismo sorprendente anche da un punto di vista umano.
Vero contemplativo, vive con Dio e per Iddio.
Monaco agostiniano esemplare, devoto e seguace di S. Agostino e di S. Nicola da Tolentino,sa vivere con la comunità e per la comunità della quale più volte e per lungo tempo avrà la responsabilità diretta come priore.
Autentico uomo d’azione, pensa a costruire un nuovo e dignitoso convento per i suoi confratelli e una bella chiesa per il Signore.
Tutti questi lavori ,dei quali si conservano più che evidenti le tracce, furono portati a termine dal P. Giovanni Battista Staxi che gli successe come priore e assistè alla sua morte.
Prima di morire chiese di essere sepolto sulla nuda terra davanti alla porta del coro. Dopo 32 mesi, in seguito a fatti straordiÂnari capitati al suo confratello Fr. Egidio da Tolentino,il corpo fu riesumato e, trovato incorrotto, venne ricomposto in una cassa di noce ed esposto alla pubblica venerazione dei fedeli sotto l’altare della cappella della Pietà che era il primo a sinistra di chi guarda l’altare maggiore. Fu questa la prima ricognizioÂne. Ne seguiranno altre come vedremo appresso.
Per il buon popolo amandolese da ora in poi sarà sempre venerato e invocato come “lu viatu Antoniu santu”. Già nel Consiglio del 2 marzo 1460 il magistrato della città lo proclama “difensore di questo popoloâ€. La sua festa si deve celebrare come festa di precetto il 25 gennaio e per la circostanza il Comune di Amandola partecipa ufficialmente presentando una partiÂcolare offerta per la chiesa di S. Agostino (cfr. Archivio stoÂrico, fol. 256 del gennaio 1463).
Non solo la città di Amandola ma anche Montefortino e Montelparo scelgono il Beato Antonio come comprotettore. Non solo le “ville” dei Sibillini ma ancora Comunanza,Montemonaco, Sarnano, Bolognola, Gualdo di Macerata, S. Ginesio e molti paesi della val di Tenna ricorrono spesso e con fiducia al loro beato.
Periodicamente si organizzano pellegrinaggi e dovunque se ne tramandano da padre in figlio la vita e i miracoli. Il testo del processo sul culto “ab immemorabili” attribuito al Beato Antonio è stato dato alle stampe dalla tipografia della Camera Apostolica nel 1759 e costituisce una fonte preziosissima per il culto al Beato Antonio e per le grazie ottenute dai devoti per sua intercessione.
Nel 1611 un bravo artista, messer Domenico Malpiedi di S.Ginesio inizia i lavori nella “cappella del coro (presbiterio) della chiesa di S. Agostino in Amandola e vi dipinge 23 quadri raffiguranti le virtù cristiane e vari miracoli operati dal Beato.
Nel testo del “Processo” sopra citato troviamo una preziosa e minuziosa descrizione di detta cappella. In essa, entro un prezioso sarcofago preparato dallo stesso Malpiedi che, oltre che bravo pittore era un valido intagliatore, venne composto il corpo del Beato Antonio il 23 gennaio 1641. Fu questa la seconda ricognizione. Dello stesso periodo sono vari lavori per migliorare lo stato del convento e soprattutto, il chiostro dove vennero eseguite pitture riguardanti la vita del Beato Antonio. Quelle eseguite sul lato del chiostro che fiancheggia la chiesa ancora si conservano. Delle a1tre non resta più nulla a causa delle replicate manomissioni dell’edificio convenÂtuale. L’1l luglio 1759 Papa Clemente XIII, a seguito di un regolare processo, riconosce ufficialmente il culto al Beato Antonio. Promotore di questa lodevole iniziativa fu il P. Provinciale di allora. P.M.Nicola Savini il quale, una volta scaduto il suo provincialato, fu eletto priore del convento di S. Agostino di Amandola e per le sue particolari benemerenze, la città gli concesse la cittadinanza onoraria. Fu lui a promuovere l’ammodernamento della chiesa di S.Agostino facendola portare allo stato attuale secondo un disegno dell’ing. Pietro Mugi di Ascoli Piceno. Un’opera anche discutibile, se si vuole, che non solo comportò la distruzione della Cappella del Beato Antonio con gli stucchi e le pitture del Malapiedi e la manomissione dell’antica chiesa del 1400 voluta dal Beato Antonio, ma richiese spese rilevatissime. Solo grazie ad un generoso contributo del comune i lavori furono portati a termine nel 1780. A causa dei lavori in corso la chiesa restò chiusa al culto per ben 22 anni con non poche conseguenza negative per il culto del Beato Antonio.
Con la Chiesa completamente rinnovata lentamente riprende anche il culto al Beato e 5 anni dopo, esattamente il 27 giugno 1785, per iniziativa dell’allora Provinciale P.M.Luigi Garulli, sin procedette con la dovuta solennità , alla ricognizione e il corpo fu trovato incorrotto come precisano i documenti autentici in nostro possesso. La vecchia tonaca fu sostituita con una nuova e sul capo del Beato fu posta una bella corona d’argento adorna di pietre preziose.
Come sappiamo, si stavano profilando tempi tristi per l’Italia e per la Chiesa. Anche in Amandola la situazione è delicata. Nel giugno del 1798 le truppe francesi che hanno invaso l’Italia, organizzano una spedizione punitiva contro i villani Amandolesi ribelli. Invadono la città e si danno al saccheggio. Anche il convento di S.Agostino è occupato dai soldati i quali, la sera dell’ 11 giugno irrompono nella chiesa e profonano la tomba del Beato Antonio a scopo di rapina e di dileggio. Trafugano tutto quello che riescono a trafugare compresa la preziosa corona d’argento che il Beato aveva sul capo. Addirittura denudano il corpo dopo averlo estratto dall’urna fracassata a colpi di mazza e lo espongono al ludibrio dei presenti.
Un devoto del Beato Antonio che abitava vicino alla chiesa avverte tanto scempio e corre dal comandante Lahure il quale interviene subito, ordina di riporre quel corpo nudo dentro l’urna e fa cessare lo scempio. Così la soldataglia se ne va al rullo dei tamburi. Il giorno appresso le truppe francesi lasciano la città e l’autorità ecclesiastica, preso atto di quanto è accaduto ordina una accurata ricognizione. Anche di questo abbiamo la documentazione in archivio. Per la fine di agosto le venerate e profanate spoglie del Beato Antonio vengono ricomposte nell’urna riattata e dopo che S. Em. il Card. Andrea Minucci Arcivescovo di Fermo fa apporre i suoi sigilli, vengono di nuovo esposte alla venerazione dei fedeli.
Siamo al 1803. La chiesa collegiata di S. Donato versa in pessime condizioni e deve essere ricostruita secondo il progetto preparato dall’Ing. Maggi.
I canonici riescono ad ottenere di trasportare l’afficiatura e la parrocchia nella chiesa di S. Agostino. Si sarebbe dovuto trattare di un affare temporaneo ma invece la cosa andò molto per le lunghe e i “canonici lasciarono la chiesa di S. Agostino solo nel 1853. Onestamente bisogna riconoscere, con i dati alla mano, che la loro presenza non giovò molto nè al mantenimento della chiesa, nè all’ incremento del culto del Beato Antonio.
Ma ci sono altri problemi e molto seri. All ‘inizio del secolo XIX si profiÂlano sull’orizzonte altri gravi pericoli per la vita della Chiesa in genere e per gli istituti religiosi in particolare. Con il1810 hainizio la soppresÂsione napoleonica e il Papa Pio VII è già in esilio. Come in tutta Italia, anche in Amandola i frati vengono cacciati dai loro conventi, sono confiscati tutti i beni del Santuario e della comunità e perfino le campane della torre.
Questo stato di cose dura fino al 1820 anno in cui si riesce a riaprire il convento di S. Agostino, magari con un solo Padre e un fratello laico .
Ci fu una sia pur lenta ripresa ma le difficoltà erano tante.
Verso il 1830 sono in corso dei lavori per dare una riadattata all’edificio conventuale trascurato da anni e dopo qualche altro anno si da mano alla costruzione della nuova cupola usando i mattoni di una casa cadente che il convento possedeva in città .
Dal libro delle “Proposte” che ancora si conserva in archivio, risulta che in quegli anni la comunità era composta di tre o quattro padri e un fraÂtello laico.
Nel 1850 si celebra con solennità il IV centenario dalla morte del Beato Antonio. Riprende e si consolida la devozione la Beato e all’attività del santuario. Si fanno nuovi lavori per la chiesa e per il convento. E così arriviamo all’estate del 1855 – l’anno del colera.
La zona della montagna attorno alla città di Amandola e sopratutto le località di Comunanza, Palmiano, Montemonaco e anche Sarnano sono flagellate dal terribile morbo. Si moltiplicano le vittime ed anche gli amandolesi sono terroÂrizzati. Fiduciosi nel Beato Antonio loro protettore, nei giorni 19, 20 e 21 agosto celebrano un solenne triduo di preghiere. Vi partecipano tutti: magistrati, clero, religiosi, confraternite e tanti devoti. L’esempio,della città di Amandola è seguito anche dai devoti delle località colpite che si recano in processione dal Beato Antonio, pregano e lasciano offerte. Nel breve volger di tempo il morbo cessa ovunque e la città di Amandola ne esce completamente indenne. Gli amandolesi, pieni di riconoscenza verso il loro Beato per la chiusura dell ‘anno 1855 fanno un solenne triduo eucaristico di ringraziamento ed organizzano una bella festa cittadina.
L’anno apresso ed esattamente il 30 maggio1856 l’Arcivescovo di Fermo Card. Filippo De Angelis è in Amandola per la sacra visita pastorale. Su richiesta dei Padri Agostiniani e delle autorità cittadine Sua Eminenza accetta ben volentieri l’invito di procedere ad una ricognizione della tomba del Beato Antonio. L’intenzione del Priore P.Emidio Natali che, d’accordo con la comunità caldeggiò l’intervento dell’Em.mo Cardinale era non solo quello di un atto di sincera devozione ma ancora quello di cogliere l’occasione per poter finalmente rimuovere la troppa polvere che era un po’ dovunque nella tomba.
Nell ‘archivio del nostro convento di S.Agostino di Amandola si conserva una relazione dello stesso P.Natali dove descrive fin nei minimi particolari quanto accadde allora. Il P.Giorgi poi, nella sua “vita del Beato Antonio†a pag. 128 e seguenti riporta per intero il “verbale†di detta ricognizione.
Ci si sta avviando verso l’Unità d’Italia ma per gli istituti religiosi si stanno profilando sull’orizzonte prove terribili. Per quanto riguarda le Marche, con la battaglia di Castelfidardo del 18 settembre 1860 la situazione precipita. Con il decreto “Valerio†del 1860 tutti i conventi sono soppressi, i lori beni passano al demanio, è proibito ricostruire comunità ed ogni religioso deve stare per i fatti suoi con una misera pensione statale. Le Chiese sono ancora officiate ma ci può restare un frate solo come rettore.
La legge del 7 luglio 1866 conferma anzi aggrava la situazione creata dal decreto “Valerio”.
La comunità agostiniana di Amandola, come del resto le altre, in pratica non esiste più. Il convento confiscato dallo Stato, ormai fa parte del demanio. La chiesa di S. Agostino è affidata ad un Padre
che fa da Rettore ed in genere ha con se un fratello laico come domestico.
Come abitazione del Rettore viene lasciata una piccola parte e la più scadente di tutto l’edificio conventuale, quella verso l’orto. Il resto viene adibito a tutti gli usi, secondo le circostanze. Quando nel 1880 si deve tracciare la nuova strada per Sarnano, senza la minima esitazione viene demolita l’ala del convento verso il monte Marubbione compreso il lato del chiostro che aveva tutte le lunette con le pitture del Malpiedi.
Prima della demolizione definitiva l’edificio sarà in qualche modo riadattato e diventerà Albergo Italia, magazzino dei monopoli e altre cose ancora.
Questo stato di cose durerà fino alla guerra mondiale ed oltre.
Per Fortuna nel 1893, dopo la morte dell ‘ultimo rettore P.Raffaele Baldoni, il Rev.mo P. Generale P. Sebastiano Martinelli mandò come rettore il P. Nicola Concetti già impegnato a Roma presso la Curia Generalizia Agostiniana.
Uomo di cultura, di larghe vedute e quanto mai coraggioso nelle più svariate iniziative, comprese subito la situazione di Amandola e del suo santuario. E così si mise immediatamente all’opera perchè il culto del Beato Antonio riprendesse in pieno. Subito le iniziaÂtive si moltiplicarono e così la devozione la Beato si diffuse in modo sorprendente non solo in Amandola e nei paesi limitrofi ma in modo tutto particolare presso gli emigrati amandolesi delle due americhe che erano molti e mai avevano dimenticato il loro Beato Antonio. Si moltiplicavano le offerte e così nel giro di pochi  anni la chiesa potè essere completamente rinnovata.
Una delle prime preoccupazioni del nuovo rettore fu quella di preparare una nuova decorosa urna di marmo per custodire le sacre spoglie del Beato Antonio. Quella del Malpiedi era ormai impresentabile. Il lavoro fu eseguito a Roma dall’artista Giovanni Battista Lugari e offerta dalla contessa Giuseppina Plebani molto devota del Beato Antonio. La ricognizione e la regolare traslazione avvenÂne il 7 settembre 1897 alla presenza di S. Ecc. Rev.ma Mons. Roberto Papiri Arcivescovo e Principe di Fermo e di tutte le autorità cittadine. Il verbale di detta ricognizione, la sesta dalla morte del Beato, venne steso dal notaio Raffaele Manardi e regolarmente registrato. Fino al 1908 i lavori si susseguono con ritmo incalzante. Il presbiterio e l’abside, le pale degli altari, le volte della chiesa e la cupola nonché tutte le pareti sono ricoperte di affreschi e riccamente decorate. Vetrate preziose chiudono le finestre e il finestrone della facciata. La sagrestia viene fornita di nuovi e spesso, preziosi arredi sacri che molto contribuiscono al decoro delle varie funzioni. Il 6 settembre 1908 il tempio così riccamente rinnovato viene solennemente consacrato dall’Arcivescovo di Fermo Mons. Carlo Castelli.
Per riqualificare la festa d’estate, ridotta ormai più o meno ad una fiera, e come invito a sostenere il Santuario rivolto in modo particolare ai coloni e ai proprietari terrieri, il P. Concetti, sempre nel 1897, lanciò l’iniziativa della “processione delle Canestrelleâ€. Dopo qualche difficoltà iniziale anche questa iniziativa riuscì in pieno ed è restata in auge fino a pochi anni fa. Al presente, date le mutate condizioni dei tempi, di tale iniziativa resta solo la rievocazione storica curata con molto buon gusto dalla “Pro Locoâ€.
Dopo la seconda guerra mondiale si ricostituisce in pieno la comunità agostiniana di Amandola e crescono le iniziative. Le ricorrenze annuali del Beato Antonio: sia quella di gennaio che quella estiva, prendono sempre più piede e, sia dal punto di vista religioso che da quello civile, costituiscono le più importanti manifestazioni cittadine dell’anno.
Con particolare solennità e notevolissima affluenza di devoti vengono celebrate le ricorrenze del V° centenario della morte del Beato Antonio nel 1950 del VI° centenario della nascita nel 1955.
Degno di nota che il periodo bellico è passato senza particolari lutti o disastri per la città di Amandola e la popolazione sente particolare riconoscenza per il suo Beato Antonio del quale ha potuto sperimentare, anche in questa circostanza, la speciale protezione come ne fanno testimonianza i molti ex voto e una lapide posta allora sul lato destro del presbiterio della chiesa di S. Agostino.
Ma …. Un passo indietro. Nel registro dell’amministrazione della “Casa e Sagrestia di S.Agostino di Amandola†a pag. 160 gennaio 1931, troviamo tra le spese la somma di £ 401.75 al prof. Belletti di Cesena per “competenza sul disegno della Cappella del B.Antonioâ€.
E’ ovvio che già da allora si avvertiva che la sistemazione dell ‘urna del Beato Antonio dietro l’altare maggiore, ai fini del culto e della devozione, non era davvero una sistemazione “ideale’ e per questo si pensava ad una nuova cappella e se ne fece preparare il progetto dal Prof. Belletti.
Ma per allora non se ne fece nulla e così si arrivò alla fine della seconda guerra mondiale quando riaffiorò l’idea della costruzione di una nuova cappella anche in segno di riconoscenza al Beato Antonio per la particolare protezione durante gli eventi bellici.
A fianco della vecchia torre si ammassarono molti mattoni offerti dai devoti. Si aprì anche uno speciale conto in banca per raccogliere le offerte. Se ne parlò molto per oltre 10 anni ma neanche questa volta si riuscì a passare all’azione concreta nonostante il moltiplicarsi dei progetti. Forse i tempi non erano ancora maturi.
Arrivarono gli anni cinquanta e si pone con urgenza il problema di una decorosa abitazione per i religiosi custodi del santuario. La parte del vecchio convento di S.Agostino lasciata dopo la soppressione italica come abitazione per il rettore del santuario oltre ad essere veramente indecorosa, era assolutamente insufficiente per la vita di una normale comunità agostiniana. Dopo i doverosi incontri con i superiori maggiori e con le autorità statali che potevano agevolare la non facile impresa, l’ing. Giuseppe Galloppa, nostro amico, prepara un bel progetto per il nuovo convento. Si susseguono non pochi intrallazzi e contrattempi ma alla fine i lavori iniziano e, con i contributi dello stato, con gli aiuti dei fedeli e tanti sacrifici da parte dei religiosi, per gli anni sessanta i lavori sono in sostanza ultimati.
Ora, messo a posto il convento, si pensa seriamente alla chiesa che agli inizi degli anni cinquanta era stata dotata di un moderno impianto di amplificazione. Per prima cosa si dà una sistemazione alla torre e alle campane. Ma si presenta anche un altro problema: il presbiterio della chiesa ha bisogno di un radicale intervento che lo renda più rispondente alle nuove norme liturgiche. Il noto artista e confratello P. Stefano Pigini prepara un progetto che, approvato dalle autorità competenti, viene realizzato nel 1967 ed il 26 agosto dello stesso anno, l’Arcivescovo di Fermo Mons. Norberto Perini consacra il nuovo altare.
L’anno appresso 1968, la ditta Vitali di Foligno, su commissione della comunità , realizza un grande e artistico crocifisso in ceramica che resterà esposto in presbiterio. Si portano a termine anche i lavori di rivestimento del presbiterio in botticino e travertino. Ma l ‘attività della comunità per il decoro della chiesa-santuario non ha soste e per il 25 gennaio 1969 è pronta la nuova artistica urna che dovrà contenere le sacre spoglie del Beato Antonio. E’ stata preparata dalla ditta Vitali di Foligno e viene benedetta lo stesso giorno 25 gennaio dall’Arcivescovo di Fermo Mons.Norberto Perini .
Il 1970 trova la comunità impegnata nella sistemazione del pavimento e della
zoccolatura della chiesa e della sacrestia e nella istallazione del nuovo impianto di riscaldamento. Per questi ultimi lavori era necessaria la manodopera e molti devoti del Beato Antonio si sono prestati gratuitamente.
Il 1972 inizia con un fatto decisamente increscioso. Nella serata del 2 gennaio, dopo le ore 20, degli ignoti penetrano nella chiesa e profanano l’urna del Beato Antonio trafugando la corona d’ oro che aveva sul capo e che era stata preparata a Roma dall ‘orafo Ettore del Vecchio nel 1899 su
commissione del P. Nicola Concetti. Il 25 gennaio, festa del Beato Antonio, l’Amministratore Apostolico di Fermo, Mons. Cleto Bellucci prima di apporre nuovi sigilli sull’urna restaurata, pose sul capo del Beato Antonio la vecchia corona d’argento che era stata preparata nel 1798 dopo che quella preziosa era stata trafugata dalla soldataglia francese nella profanazione dell’ 11 giugno dello stesso anno.
Continuano gli impegni per il decoro della chiesa e per la Pasqua del 1974 è pronto il nuovo impianto elettrico delle campane.
Nel 1976, durante un violento nubifragio, un fulmine cade sulla torre e procura seri danni. Per l’interessamento sollecito dell ‘amministrazione comunale e l’intervento della Soprintendenza ai monumenti delle Marche si ripara la torre ed il tetto dell’abside della chiesa.
Siamo ormai al 1982 e si torna a pensare con serietà al convento. Viene istallato l’ascensore, si approntano i bagni in diverse camere, si risana l’impianto elettrico e quello di riscaldamento e così i locali del convento sono sempre più accoglienti per la comunità e per gli ospiti.
Degno di nota che fino al 1990 la comunità , oltre che curare il servizio religioso del santuario, attendeva anche alla cura parrocchiale.
Siamo ormai agli anni novanta e l’idea di una nuova cappella in onore del Beato Antonio ritorna con insistenza. Dopo attese piuttosto lunghe e non pochi ripensamenti si sceglie il luogo – l’area del vecchio chiostro e ci si rende conto che si dovrà realizzare uno sterro di circa 700 m. buona
parte dei quali sarà roccia. Le reali difficoltà non si nascondono ma … si parte.
In breve tempo si ottengono tutte le necessarie autorizzazioni sia dalla autorità ecclesiastica che da quella civile. E così si dà mano all’opera.
L’Architetto Roberto Marcolini e l’Ing. Riccardo Treggiari, ambedue amandoÂlesi, preparano un primo progetto e poi un secondo che viene apprezzato ed approvato dall’autorità competenti. Con la ditta costruttrice Lupi Attilio e figli si concorda un piano di lavoro e, nonostante gli inevitabili ripenÂsamenti e contrattempi, in meno di tre anni, per il maggio del 1996 non solo è pronta la nuova cappella con l’attigua sacrestia, ma è stato rinnovato il corridoio a fianco della chiesa, è pronta la nuova sala dei confratelli, la nuova scala di accesso al convento, la nuova centrale termica e completamente rinnovato il presbiterio del santuario.
Così la NUOVA CAPPELLA DEL BEATO ANTONIO  è una consolante realtà dovuta alla intraprendenza della comunità agostiniana di Amandola, alla fattiva collaborazione della Provincia Agostiniana Picena, alla genialità dei progettisti e degli esecutori dei progetti e alla generosità di tanti benefattori.
Nel pomeriggio del 30 giugno 1996 è con noi S.Ecc. Rev.ma Mons. Cleto Bellucci Arcivescovo di Fermo, il P.Provinciale P.Marziano Rondina, molti confratelli e sacerdoti amici, la confraternita di S.Nicola, le autorità cittadine con il gonfalone della città e tanti fedeli e devoti.
L’urna del Beato Antonio, trasportata nella nuova cappella dai confratelli di S. Nicola, viene sistemata sul nuovo prezioso basamento. Quindi  S. Eccellenza procede alla benedizione del nuovo altare e della cappella e si ritorna processionalmente in presbiterio per la concelebrazione. E’ presente anche il rinnovato gruppo femminile della confraternita di S. Nicola al quale il M.R.P.Provinciale consegnerà i nuovi medaglioni benedetti da S. Eccellenza.
Col passar del tempo verifichiamo con piacere i vantaggi della nuova realizzazione. Tutti i giorni feriali vi si celebra la S. Messa sia al mattino che al pomeriggio e vi si conserva abitualmente l’Eucaristia. Il corridoio tra la cappella e la chiesa ornato con il grande crocifisso che era all’altare maggiore e con le bacheche degli ex voto,è diventato una “aula poenitentiaÂlis” ideale e nel nuovo presbiterio, così spazioso e ben disposto, si possono svolgere con molto decoro i sacri riti sopratutto nei giorni festivi e nelle solennità . Il santuario è molto frequentato e la comunità agostiniana e sempre disponibile per i fedeli.
In questi ultimi anni, mentre si portavano avanti i lavori della nuova cappella, per interessamento dell’amministrazione comunale, un consistente contributo dello stato ha permesso di eseguire altri indilazionabili lavori. Sono stati rinnovati e impermeabilizzati tutti i tetti del santuario e bonificate tutte le pareti esterne compresa la facciata. Hanno eseguito tali lavori la ditta Michetti di Ascoli Piceno sotto la guida degli ingegneri Guidotti, Treggiari e Marinangeli.
Non possiamo chiudere queste note senza sottolineare che a fianco della comunità agostiniana e in piena armonia con essa opera, per il bene dei fedeli e il decoro del santuario, la Confraternita di S.Nicola. e questo da antichissima data.
Sappiamo con certezza che detta confraternita già esisteva ed operava l’11 aprile 1463 infatti proprio in quella data il registro dei consigli del Comune di Amandola annota che la direzione di detta confraternita inoltra al comune regolare richiesta di poter gestire direttamente l’ospedale cittadino pronti ad assumersi anche l’onere di fare a proprie spese i restauri necessari per il buon funzionamento del medesimo. Tutto fa pensare che fosse stata fondata dallo stesso Beato Antonio che era morto solo 13 anni prima e che, come ben sappiamo era devotissimo di S.Nicola. in quell’epoca, la nuova chiesa di S.Agostino era praticamente ultimata ed in essa il primo altare a destra vicino all’altare maggiore era dedicato a S. Nicola solennemente canonizzato a Roma dal Papa Eugenio IV il 5 giugno 1445. Tale altare era in custodia del ramo maschile della confraternita mentre il ramo femminile aveva in custodia l’altare della Madonna del Soccorso.
E’ ben noto che questa confraternita si è sentita sempre molto legata anche al santuario di S. Nicola. Si ha memoria certa che quando nell’ottobre del 1698 si verificò la prodigiosa effusione del sangue delle Sante Braccia di S. Nicola, il 12 di detto mese la confraternita di S. Nicola di Amandola organizzò un pelleÂgrinaggio a Tolentino e a nome del Consiglio della città portò al santuario di S. Nicola una offerta di 22 scudi. In seguito lo stesso consiglio cittadino pensò anche esso ad organizzare un pellegrinaggio alla tomba di S.Nicola “dell’intero popolo amando lese†e all’uopo scelse 4 deputati perché “tutto si svolgesse con ordine e decoroâ€â€¦. “onde seguiti il taumaturgo a liberarci da maggiori flagelli siccome l’abbiamo sperimentato nella trascorsa settimana†(cfr. P.Ferranti, Memorie storiche della città di Amandola I, pag. 342).
Oggi i confratelli sono oltre 50 e le consorelle una trentina.
Con incontri accuratamente programmati si cerca di favorire la formazione umana e cristiana dei singoli e di garantire una fattiva presenza non solo per le feste annuali del Beato Antonio ma anche per tutte le manifestazioni religiose della città .
Concludiamo rilevando che, a parte tutto quello che è stato fatto finora, l’interno del santuario, così ricco di decorazioni e di pitture eseguite all’inizio di questo secolo, ha urgente bisogno di una meticolosa opera di restauro e confidiamo che i progetti già in corso – concordati o ancora da concordare tra l’autorità civile ed ecclesiastica – arrivino quanto prima ad una fattiva conclusione evitando il deperimento di tanto e tale patrimonio religioso e artistico.