Gli eremiti agostiniani lo accolsero con sincera gioia e piena fiducia. Lo conoscevano già e sapevano che non li avrebbe delusi. Ed egli cominciò subito il suo noviziato.
Il noviziato è un periodo di studio e di prova cui vengono sottoposti i candidati prima di legarsi agli impegni della vita religiosa. A quel tempo non c’era una norma che ne fissasse la durata e tutto fa pensare che per Antonio la prova fosse breve e che ben presto fosse ammesso alla professione religiosa.
È così chiamata la consacrazione della propria vita al Signore, in una solenne funzione liturgica, in cui il giovane s’impegna a osservare i consigli evangelici mediante i voti di povertà , castità e obbedienza. E così si viene a far parte di un Ordine religioso. Religiosi, in parole più povere, sono i frati. E Antonio Migliorati da quel momento, indossando il saio agostiniano, divenne Fra Antonio da Amandola dell’Ordine degli Eremitani di S. Agostino.
Non abbiamo notizie circostanziate di questo periodo, ma ce ne possiamo fare un’idea ricordando chi erano questi frati e come vivevano a quel tempo, specie in Amandola.
Da tempi immemorabili esistevano vari raggruppamenti d’eremiti, indipendenti tra loro, con sistemi di vita diversi, ma tutti legati alla Regola di S. Agostino. Ce n’erano soprattutto in Italia, in Francia e in Spagna. Nel secolo XIII venne promosso tra loro un movimento d’unificazione, in vista dei bisogni della Chiesa e per adeguarsi ai grandi Ordini religiosi fondati di recente, come i Francescani e i Domenicani. L’unificazione si concretizzò nel 1256 e l’Ordine fu chiamato « degli Eremitani di S. Agostino ». Esso riconobbe il grande vescovo africano come padre e come ispiratore della propria spiritualità .
Fondamentalmente tale spiritualità consisteva nel cammino verso Dio come esperienza comunitaria; spogliatosi d’ogni avere e d’ogni interesse individuale, il monaco s’impegna ad un’apertura verso i fratelli per la santificazione e il bene di tutti. Tanto più si progredisce spiritualmente quanto più uno si spoglia del proprio individualismo e si rende disponibile per il bene comune. Su questa spiritualità l’Ordine si organizzò, si estese ed ebbe una grande fioritura di santi e di dotti che si posero al servizio della Chiesa.
Il romitorio di Amandola a quali tempi risale? Le sue origini si perdono nella notte dei tempi.
Gli eremiti aderirono alla Grande Unione del 1256 ed entrarono alle dipendenze del Priore Provinciale della Marca d’Ancona. Ma mentre quasi tutti i monasteri preesistenti o sorti dopo il 1256 nella Marca d’Ancona mostrano di avere assorbito in pieno la nuova mentalità dell’Unione, tutto fa pensare che quello di Amandola, pur non disconoscendo la spiritualità agostiniana, tenne a conservare la mentalità eremitica e le tradizioni del monastero. Pur dedicandosi all’apostolato e ai bisogni del popolo, il romitorio era sempre la tana degli eremiti, che vivevano una vita di durissime privazioni, d’impressionante austerità , di penitenza e di preghiera sia di giorno che di notte.
Così erano questi eremiti quando Antonio andò a vivere con loro. Amati e venerati dal popolo, perché la loro vita splendeva di santità ; proprio in quel tempo ve n’era uno che più tardi il popolo onorò col titolo di beato, il B. Giacomo da Amandola. N’erano dagli otto ai dieci, e il Comune forniva ad essi, per elemosina, annualmente otto tonache e un mantello. Più tardi sarà proprio il beato Antonio, dopo le esperienze di Tolentino e delle Puglie, a farsi promotore di una vita più aperta, all’agostiniana, imprimendo più calore alla fraternità cenobitica e più partecipazione nelle necessità della Chiesa. E questo non perché egli trovasse la vita di Amandola troppo dura; era anzi stata proprio questa austerità ad orientarlo nella sua scelta giovanile ed essa caratterizzò in crescendo tutta la sua vita, fino alla tarda vecchiaia.
Da tutto questo possiamo ben immaginare come egli si comportò da giovane religioso. Imparò della vita una concezione dura e sacrificata, che del resto aveva già sperimentato sui suoi monti. Si abituò a forme di penitenza che gli divennero usuali, nel cibo, nel riposo, nella preghiera e in tutto; sottopose il suo corpo ad un duro e costante martellamento, come in una ginnastica per il trionfo dello spirito. Imparò, amandola, la disciplina della preghiera comunitaria, alzandosi a mezzanotte e sempre prontissimo per tutte le altre ore di preghiera. Ma soprattutto imparò il valore del trovarsi insieme, in fraterna amicizia coi confratelli, collaborando scambievolmente nelle esperienze positive dello spirito.
Individualmente va ricordata la meticolosa attenzione nel vivere la sua consacrazione a Dio per mezzo dei voti religiosi; per mezzo di essi operò in sé stesso un supremo e assoluto distacco da ogni valore temporale per potersi fissare unicamente in Dio. In questo ebbe soprattutto come modello S. Nicola, di cui veniva messa in risalto la sua suprema fedeltà a questi impegni della vita religiosa.
Su queste basi, secondo i biografi antichi, il giovane Antonio in poco tempo eguagliò e superò le virtù dei suoi confratelli che pur da molto tempo si esercitavano nella palestra della santificazione.