Il monte Berro , più modestamente chiamato il monte Amandola , è uno dei primi contrafforti nord-orientali della catena imponente e frastagliata dei Sibillini, che segnano la divisione naturale tra l’Umbria e le Marche. Man mano che si sale, ogni forma di vegetazione si dirada e scompare nella marea della petraia, ma alle sue falde la vita è ancora possibile e persino fiorente, tanto da accogliere l’insediamento di piccole comunità montane.
Tali erano e sono le borgate quasi contigue di Casaricchia e Francalancia, sopra le quali il monte s’innalza ancora per quasi 1.000 metri . Le due borgate sorsero antichissime per l’attività agricola e pastorizia che si svolgeva attorno all’abbadia dei Santi Vincenzo e Anastasio, fondata nel secolo VI, alcuni vorrebbero dallo stesso S. Benedetto.
Aria buona e costumi semplici e forti per questi montanari: ma vita faticata e grama per strappare ogni giorno alla terra un pane assai sofferto e misurato.
Fu proprio qui, sul colle di S. Giovanni, che nacque il Beato Antonio da Amandola, nel cuore dell’inverno, il 17 gennaio 1355. La sua casa natale era quasi a metà strada tra le due borgate, trasformata poi dalla devozione popolare in una cappella, pur modesta, che ancora esiste e che chiamano la cuna del beato .
Come è successo per tanti altri santi, più di una famiglia di una certa nobiltà ha cercato di accaparrarsi il vanto della parentela col Beato per accrescere lustro al proprio casato ed ha così generato una certa confusione sul suo cognome. Certo è che nel secolo XIV i cognomi non avevano l’importanza e la fissità d’oggi; e d’altra parte per i devoti il Beato Antonio fu sempre il Beato Antonio e basta. Oggi comunque la verità sul suo casato è senz’altro chiarita. Egli apparteneva alla famiglia Migliorati (Megliorati, Meliorati), famiglia di modesti agricoltori del contado di Amandola, perciò contadini, non provenienti da nobiltà e, nel ramo diretto, spentasi col Beato Antonio.
Il padre si chiamava Simpliciano. Si era sposato con una tal Giovanna, non meglio identificata ma che la tradizione dà come originaria di Comunanza.
Tutte le fonti della vita del beato abbondano di testimonianze sulle virtù domestiche e cristiane dei due sposi. Di sani principi umani e religiosi, erano onesti e laboriosi, molto uniti tra loro e disponibili a ogni bisogno del prossimo, amanti della pace e della cordiale amicizia. Per la verità gli abitanti di queste alture sono tutti così e non c’è da pensare che non lo fossero anche nel secolo XIV; il contatto vivo con la natura infatti porta a un grande equilibrio e a una bontà concreta e non sussiegosa. Ma se le testimonianze su Simpliciano e Giovanna sono tanto insistenti, vuoi dire che tra gli altri essi si distinguevano veramente. E allora non fa meraviglia che proprio ad essi sia capitato un figlio così straordinario: dono di Dio certamente, ma ben curato e plasmato dai loro insegnamenti e dai loro esempi.
Il figlio lo ebbero quando erano già piuttosto avanti in età e forse le speranze della prole si venivano ormai attenuando; certo che il bimbo fu considerato come un dono prodigioso alla loro fiducia e alle insistenti preghiere. Forse anche si erano sposati non più giovanissimi, come a quei tempi succedeva a chi non era del tutto tranquillo per il pane dei giorni futuri; si spremeva la prima giovinezza per mettere qualcosa da parte ed offrire alla compagna una certa sicurezza economica.
Fosse l’uso del luogo o qualche pericolo incombente, fatto sta che il neonato venne battezzato il giorno stesso della nascita. E per il nome, nessun problema: S. Antonio Abate, il santo del giorno, così caro nelle campagne perché proteggeva il bestiame e tanto noto per i racconti delle sue tentazioni e della sua fedeltà . Il piccolo ebbe così il suo patrono e la scelta del grande asceta ed eremita del deserto ebbe forse un certo sapore di presagio.