Nel cammino del tramonto uno dei pensieri che assillavano Simpliciano e Giovanna era l’avvenire del loro figliolo che cresceva veramente bene, ma era pur sempre tanto giovane. Ma Antonio veniva maturando la scelta per conto suo e, se tardava a realizzarla, era solo per amore dei suoi vecchi.
C’è però da chiedersi perché non abbia scelto di farsi benedettino, e proprio in quell’abbadia dei SS.Come si era sviluppata in lui questa scelta? Al contatto coi valori soprannaturali che gli erano così famigliari nella preghiera e nelle riflessioni, e anche sentendo l’instabilità d’ogni cosa, pur bella, legata al tempo, Antonio aveva scoperto Dio come punto fisso e come unico bene da ricercare e da possedere: qualunque ricchezza all’infuori di Dio è solo miseria. Ecco allora la spinta interiore a sbarazzarsi di tutto per cercare e possedere Dio, come colui che abbia scoperto un grande tesoro e di nessun’altra cosa ha interesse all’infuori di quel tesoro. Ecco la radice d’ogni vocazione alla vita religiosa. E Antonio decise di farsi religioso.
Vincenzo e Anastasio che era lì a due passi e verso cui egli aveva tanto debito di riconoscenza. È certo che, con tutto l’affetto verso quei buoni Padri, egli trovasse in loro qualche cosa che non corrispondeva alle sue aspirazioni. E a questo punto chi c’illumina sufficientemente è tutta l’impostazione della sua vita di religioso, così austera e distaccata, così lineare e priva di compromessi. In fondo i Benedettini erano dei benestanti. Anche se vivevano con distacco, nell’abbadia e negli altri monasteri che dipendevano da essa non mancava nulla. L’abate era una specie di signorotto e i monaci erano protetti e sicuri. Di per sé entrare tra i Benedettini non era del tutto un rinnegare sé stesso e prendere la croce di Cristo, ma salire di rango e di censo. Al monastero affluivano derrate e denaro in abbondanza, anche frutto dei sudori dei poveri, e proprio in quegli stessi anni sulle ceneri del vecchio monastero del sec. VI stava sorgendo il nuovo, quello giunto più o meno fino a noi, in cui non si badava a spese; contemporaneamente si stavano ricostruendo altri monasteri dipendenti, come quello dell’Ambro. I religiosi erano rispettati e riveriti e Antonio con la sua scelta non è che mirasse a salire nella scala sociale.
C’è poi un’altra componente che ha avuto un influsso determinante nella decisione d’Antonio; una componente che risaliva ai tempi della sua fanciullezza, a quei germi che avevano lasciato impressioni tanto profonde e che il tempo portava a sviluppi sempre più concreti. Questa componente, che ritroveremo come fermento attivo in tutta la sua vita, aveva un nome: S. Nicola da Tolentino. Antonio rimase fin da piccino suggestionato e attratto da questa grande figura di santo. S. Nicola era di S. Angelo, lì a due passi, ed era morto a Tolentino appena una cinquantina d’anni addietro. Una vita tutta santa ed una quantità di prodigi. Chi non ne parlava? Quando nelle sere d’inverno, secondo l’uso del luogo, si faceva veglia coi vicini accanto al fuoco o al calore un pò acido delle stalle, si raccontava di tutto: di spiriti, di streghe, della Sibilla, del Guerrin Meschino; ma anche della storia di Gesù, dei Santi, e di S. Nicola in particolare. Tutti parlavano della sua vita meravigliosa e dei miracoli che si verificavano al suo sepolcro.
L’entusiasmo si era poi ancor più acceso da quando, appena qualche anno prima, nel 1345, qualcuno, per eccesso di zelo, n’aveva tagliato furtivamente le braccia e, benché fossero passati 40 anni dalla morte, n’era sgorgato sangue vivo con impressionante abbondanza. Antonio non si stancava di ascoltare questi racconti e i suoi genitori erano sempre pronti a contentare la sua curiosità con nuovi particolari.
D’altronde nei dintorni tutti avevano un culto speciale per S. Nicola e proprio in Amandola gli era stata costruita la prima chiesa, e già fin dal 1336 gli Statuti Municipali avevano decretato che la festa del santo, il 10 settembre, fosse solennizzata come festa di precetto e che alla suddetta chiesa venisse offerto annualmente un cero come voto della municipalità . La mente del bimbo veniva impressionata da queste cose e il suo amore per S. Nicola crebbe sempre più. Bisognava imitarlo, rassomigliare a lui. E S. Nicola era Agostiniano.
Anche lì sotto, a pochi passi da Amandola, negli anfratti e nelle grotte del monte Marubbione, viveva ancora all’antica, come ai tempi di S. Nicola, una piccola comunità d’eremiti agostiniani con una povertà e un’austerità ben più impressionanti di quelle dei Benedettini dell’abbadia. Quando si sia scelta la via stretta, è inutile cercare la più comoda fra quelle strette. Per Antonio così era maturata la scelta.
E quando il Signore ebbe richiamato i suoi genitori, egli chiese agli eremiti, coi quali già da tempo manteneva contatti, di essere accolto definitivamente tra loro.
Qualche biografo ha cercato anche di stabilire delle date precise. Non possiamo accettarle che con cautela perché le fonti non ci hanno trasmesso dei numeri. Comunque è probabile che Antonio sia rimasto orfano verso i 18-20 anni. Ed è a questa età che egli entrò nella comunità del monte Marubbione.