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Settimanta Santa – Veglia Pasquale

Per questo gioisce il mio cuore,

ed esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro,

perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,

né lascerai che il tuo fedele veda  la fossa.

(Sal 16,9-10)

Dopo una giornata di silenzio, durante la quale la Chiesa contempla la deposizione di Gesù Cristo nel sepolcro, la comunità cristiana si raduna sul far della sera per vivere la celebrazione vigiliare più importante dell’Anno Liturgico. Agostino definisce la veglia di Pasqua come la madre di tutte le veglie: <è questa infatti la nostra veglia grande;a nessun’altra veglia solenne corre il nostro pensiero quando in questo senso si chiede o si dice: Quando si farà la veglia?>(Discorso 221,2). Dal buio della notte una luce avanza: Cristo, risorto da morte, ha vinto la morte! La chiesa proclama il lieto annuncio:  Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato (1 Cor 5, 7).

È questa la nostra grande veglia!

Siccome il Signore nostro Gesù Cristo ha reso glorioso con la sua Resurrezione il giorno che aveva reso luttuoso con la morte, noi, rievocando i due momenti in un’unica commemorazione solenne, vegliamo ricordando la sua morte, esultiamo aspettando la sua resurrezione. Questa è la nostra festa annuale, questa è la nostra Pasqua, non più figurata nell’uccisione dell’agnello, come per il popolo antico, ma portata a compimento per il popolo nuovo nell’immolazione del Salvatore, perché il Cristo nostra Pasqua è stato immolato e le cose vecchie sono passate ed ora ne sono nate delle nuove. E se piangiamo è per il peso dei nostri peccati, e se esultiamo, è perché giustificati dalla sua grazia, perché egli è stato messo a morte per i nostri peccati, ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione. Per quelli piangiamo, di questo ci rallegriamo, e sempre siamo nella gioia. Quanto per causa nostra e a nostro vantaggio è stato compiuto di triste o anticipato di lieto non lo lasciamo passare con ingrata dimenticanza, ma lo celebriamo con riconoscente memoria. Vegliamo dunque, carissimi, perché la sepoltura di Cristo si è protratta fino a questa notte, cosicchè proprio in questa notte è avvenuta la resurrezione di quella sua carne che allora fu oltraggiata sul legno, adesso è adorata in cielo e sulla terra. Naturalmente questa notte si considera come facente parte del giorno di domani, che per noi è il giorno del Signore. Ed era opportuno che risorgesse di notte, perché con la sua risurrezione ha rischiarato le nostre tenebre; non per nulla già poco tempo prima si cantava a lui: illuminerai la mia lampada, Signore; mio Dio, illuminerai le mie tenebre. Così la nostra stessa pietà mette in risalto questo mistero così grande; come la nostra fede, rafforzata dalla sua risurrezione, è già sull’attenti, così anche questa notte, già così piena di luci, sia ancor più luminosa per il nostro vegliare, in modo che noi, insieme a tutta la Chiesa diffusa per il mondo intero, possiamo badare in modo giusto a non esser trovati nella notte. Per tanti e tanti popoli, che dovunque questa fulgida solennità ha radunato insieme nel nome di Cristo, il sole è già tramontato, ma il fulgore non se n’è andato,  perché a un cielo pieno di luce ha fatto seguito una terra ugualmente piena di luce.

( dal Discorso 221,1)

Per una breve meditazione…

Umilmente vegliamo, umilmente preghiamo, con piissima fede, con saldissima speranza, con ferventissima carità, pensando quanto la nostra glorificazione risplenderà come giorno, se già la nostra umiliazione cambia la notte in giorno.

(dal discorso 223/I,1)

Settimana santa –  domenica di Pasqua

Ora, invece, Cristo è risolto dai morti,

primizia di coloro che sono morti.

Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte,

per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti.

(1 Cor 15,20-21)

Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci in esso ed esultiamo! ( Sal 118,24). È il giorno della Resurrezione di Cristo dai morti, che i Padri della chiesa hanno esaltato con straordinarie espressioni poetiche. Oggi è sorta la luce del mondo, oggi è apparso il grande Giorno, Cristo, che inaugura il giorno che non conosce tramonto. Siamo nel cuore della fede e della vita della Chiesa. Il Risorto apre il passaggio (transitus, lo definisce Agostino, recuperando la corretta etimologia dell’ebraico pasqua) dalla morte alla vita, da questo mondo al Padre (Gv 13,1). Di questo passaggio, ancor più straordinario della pasqua storica del popolo di Israele, beneficiano tutti i battezzati: coloro che credono in Cristo muoiono al peccato nelle acque battesimali e risorgono a vita nuova in forza dell’azione dello Spirito Santo. La creazione stessa partecipa alla nascita e all’inno di lode dell’uomo nuovo; essa attende il suo destino ultimo, che non sarà quello di una distruzione totale, ma la sua trasfigurazione. Agostino illustra la meta, alla quale deve tendere chi è stato rinnovato dall’amore di Cristo: cantare l’Alleluja, il canto di lode, nel Regno dei Cieli. < cantare, è proprio di chi ama; cantare il cantico nuovo, è di chi appartiene al Nuovo Testamento; cantare l’Alleluia, è proprio della santa letizia dei giusti qui in terra dove la gioia è fondata sulla speranza, lassù nel cielo dove la speranza diventerà realtà. La radice di questo trinomio è una sola: l’amore. L’uomo è nuovo, perché rinnovato dall’amore; il cantico è nuovo, perché è il cantico dell’amore; il testamento è nuovo perché è il Testamento dell’amore>. (A.Trapè)

Da morte a vita

Nella nostra vita dobbiamo pensare costantemente alla lode di Dio, poiché l’eterno giubilo della nostra vita futura sarà la lode di Dio, e nessuno può essere in grado di vivere la vita futura se al presente non vi si sarà allenato. Al presente noi lodiamo Dio, ma insieme lo supplichiamo; e se la lode ci procura godimento, la preghiera include gemito. Ci è stato promesso qualcosa che ora non possediamo e, siccome l’autore delle promesse è veritiero, godiamo nella speranza; per il fatto però che non siamo nel possesso, gemiamo di desiderio. Il periodo che precede la Pasqua raffigura la tribolazione in cui ci troviamo al presente; quello che invece celebriamo adesso, dopo Pasqua, raffigura la beatitudine, in cui saremo nell’eternità. Proprio per questo trascorriamo quel primo tempo in digiuni e preghiere, mentre nel periodo pasquale, ridotti i digiuni, indugiamo piuttosto nelle lodi di Dio. Questo indica l’Alleluia che cantiamo: parola che si traduce con Lodate il Signore. Or dunque, fratelli, vi esortiamo a lodare Dio, e questo è quel che ci diciamo tutti ogni volta che pronunziamo l’Alleluia.  Lodate il Signore, dici tu al prossimo e lui lo dice a te. Quando tutti si esortano a vicenda, tutti mettono in pratica l’esortazione. Occorre però che lodiate con tutto voi stessi: non deve lodar Dio solo la vostra lingua e la vostra voce, ma anche la vostra coscienza, la vostra vita, le vostre opere, lodiamo, certo, Dio adesso che siamo riuniti in assemblea, ma quando ciascuno torna alle sue occupazioni private, quasi cessa di lodare Dio. Non smetta di vivere bene e continua sarà la lode a Dio. Interrompi la lode di Dio quando ti allontani dalla vita buona, anche se la tua lingua tace, la tua vita grida, e l’orecchio di Dio si piega al tuo cuore. Canti la tua voce, canti la vita, cantino le opere. E se ancora ci sono il gemito, la tribolazione, la tentazione, sperate che tutto passerà e che arriverà il giorno in cui loderemo senza mai venir meno.

Della promessa di Dio abbiamo ricevuto una tale caparra: possediamo la morte e il sangue di Cristo. Chi è morto? Il Figlio Unico. Per chi è morto? O magari fosse morto per dei giusti! Ma è questa la realtà? Dice l’Apostolo: infatti Cristo è morto per gli empi.  Colui che agli empi ha fatto dono della sua morte, cosa terrà in serbo ai giusti se non la sua vita? Si sollevi quindi la debolezza umana! Non disperi, non si accasci, non si volga indietro dicendo: Io non ci sarò. Chi ha fatto la promessa è Dio: Egli è già venuto per fare la promessa, è apparso agli uomini, è venuto per addossarsi la nostra morte e garantirci la sua vita. Dalla sua patria ci ha recato i beni e nella nostra terra ha subito i mali. Ci ha promesso che abiteremo in quella patria, da cui Egli è venuto e ha detto: Padre, voglio che dove sono io, là siano anch’essi. Con tanto amore ci ha prevenuti! È venuto da noi là dove noi ci trovavamo; noi saremo con lui là dove egli è. Cosa ti ha promesso Dio, o uomo mortale? Che vivrai in eterno. E non ci credi? Credici, credici! È più ciò che ha fatto che non quello che t’ha promesso. Cosa ha fatto? È morto per te. Cosa ti ha promesso? Che vivrai insieme a lui. È più difficile a credersi che sia morto l’Eterno che non il fatto che viva in eterno l’uomo mortale. Ciò che è più incredibile è ormai acquisito. E se Dio è morto per l’uomo, perché non dovrà l’uomo vivere sempre con Dio? Perché il mortale non potrà vivere in eterno, quando per lui è morto Colui che vive in eterno?

(dal Commento al Salmo 148,1-2.8)

Per una breve meditazione…

Cristo dormì perché stessimo svegli noi, Lui che ra morto perché fossimo vivi noi.

(dal Discorso 221,4)